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II domenica dopo Natale

La vita nella dimensione della lode

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. Perciò anch’io… continuamente rendo grazie per voi  ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi. Ef 1,3-6.15-18

«E quando miro in cielo arder le stelle; dico fra me pensando: a che tante facelle? Che fa l’aria infinita, e quel profondo infinito seren? che vuol dir questa solitudine immensa? Ed io che sono?». Con questi versi Giacomo Leopardi esprime lo smarrimento dell’uomo di fronte all’infinita magnificenza della creazione, dell’universo, del mistero di dove sta andando la storia, il mistero di chi sono io.

Negli odierni versetti della Lettera agli Efesini, Paolo, rapito al pensiero del meraviglioso piano di salvezza, architettato da Dio fin dall’eternità e ora realizzato in Cristo, dà risposta a queste domande: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo». È una lode al Padre per averci ricolmati di ogni beneficio, per averci adottati come figli e redenti per mezzo di suo figlio, Gesù Cristo.

È per questa adozione a figlio di Dio, che l’uomo si sente signore dell’universo e trova risposta all’angosciante quesito leopardiano: «ed io che sono?». Io sono figlio di Dio, amato, liberato, salvato e redento, «a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato». Anche noi, come i cristiani della comunità di Efeso, dobbiamo chiedere allo Spirito Santo un dono speciale di intelligenza e di illuminazione, per poter penetrare a fondo il mistero di amore nel quale siamo immersi, come creature e come figli di Dio. Facciamo nostra l’odierna preghiera di Paolo in questa lettera agli efesini: «Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi». Entrare in tale consapevolezza e in questa dimensione della lode vuol dire trascorrere la vita nella gioia di chi si sente amato e ogni senso di solitudine scompare: la domanda di Leopardi «che vuol dire questa solitudine immensa?» trova risposta definitiva. Chi entra in questa dimensione anticipa la beatitudine dell’eternità: «Ibi vacabimus et videbimus; videbimus et amabimus; amabimus et laudabimus. Ecce quod erit in fine sine fine»,«Là riposeremo e contempleremo, contempleremo e ameremo, ameremo e loderemo per l’eternità» (sant’Agostino, De Civitate Dei).

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