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XXV settimana del Tempo Ordinario – Domenica

Il capo secondo il vangelo

Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Mc 9,31-37

Se mettiamo insieme un certo numero di persone – siano esse uomini, donne o bambini – e diciamo loro: “C’è da realizzare un certo progetto, organizzatevi!”, la prima cosa che esse fanno è di scegliersi un capo. Il carisma del capo è un talento ricevuto da Dio ed è giusto farlo fruttare. Egli sa assumersi le proprie responsabilità, sa scegliersi i collaboratori, li organizza e coordina il loro lavoro. Il capo vede e legge la realizzazione del progetto prima degli altri, in modo da prevederne i problemi e farsi trovare preparato a risolverli, quando essi si presenteranno. Il carisma di guidare il lavoro degli altri è un dono prezioso e non può essere nascosto sotto terra, come, nella parabola dei talenti, fa il servo infingardo che aveva ricevuto un solo talento da far fruttare: il Signore chiede di trafficarlo. Chi ha ricevuto il carisma di capo, qualunque sia il contesto nel quale si eserciti – familiare, professionale, sociale o ecclesiale – è giusto che lo faccia fruttare.

Nel vangelo di oggi, tuttavia, Gesù presenta il modo di essere capo secondo lo Spirito, sovvertendo la mentalità del mondo: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Eppoi – e qui siamo al centro del carisma – non insegna a coordinare i collaboratori come professionisti, ma ad accoglierli con lo stesso amore con cui si accolgono i bambini: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”. Ed in tal modo il cerchio si chiude: operando nel proprio lavoro con spirito di servizio e di accoglienza, si restituiscono al Signore i talenti che ci ha donato.

Nel vangelo di Giovanni, di questo modo di comandare, Gesù porta come esempio se stesso nell’episodio della lavanda dei piedi: “Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,12-15). È una esortazione facile da capire, ma difficile da mettere in pratica. Però bisogna riuscirci, perché ad essa è collegata la beatitudine del Regno: “Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica”(Gv 13,17).

Preghiera: “Signore, quando, nel progetto di vita che mi hai affidato, sono chiamato ad essere capo, donami lo spirito del servo e l’amore per i miei collaboratori. Quando sono chiamato ad essere un collaboratore, donami ugualmente lo spirito di servizio e di amore per i miei superiori. Qualunque sia il mio ruolo, donami, Signore, di vedere Te nelle persone con le quali sono chiamato a collaborare, affinché possa essere un buon operaio nel tuo Regno”.

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