ITFL129

I settimana del Tempo Ordinario – Sabato

Gesù e il perbenismo  

Passando, vide Levi…, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?»… Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». Mc 2,14-17

Il vangelo di oggi è un’icona con due scene: la chiamata di Matteo e il banchetto di Gesù con i peccatori. Matteo è seduto al banco delle gabelle, bloccato come il paralitico di ieri, e intento a far soldi con un lavoro da molti ritenuto poco onesto. Gesù lo chiama; Matteo si alza e lo segue. Con questa scena, raffigurata mirabilmente in un quadro del Caravaggio, Gesù manda in frantumi ogni diaframma sociale fra giusti e peccatori. Con il suo ingresso nelle vicende umane, non esistono più giusti e peccatori: esistono uomini e donne che, nella misura in cui si sentono peccatori, sono giusti. È un primo colpo al perbenismo di ogni tempo; il secondo colpo, ancora più deciso, viene inferto nella seconda scena, durante il pranzo con i peccatori. La predilezione di Gesù per le persone «poco raccomandabili», come i pubblicani e le prostitute, ha sempre sorpreso e scandalizzato le persone «di sani principi morali», equilibrate e rispettose delle buone regole del vivere civile. Nel vangelo di oggi egli è seduto a tavola con questa gente, che gli scribi e i farisei considerano lo scarto della società. Essi potrebbero accettare che Gesù si rivolgesse anche a loro, per correggerli con i suoi insegnamenti, ma si scandalizzano nel vederlo seduto a tavola con quella compagnia, nella gioia della convivialità. Questo suo desiderio di condividere i momenti gioiosi con i peccatori, ci ricorda il dottor Moscati, che la Chiesa ha, da pochi anni, proclamato santo. Egli, pur essendo un medico eccellente, ha scelto di curare i poveri della Napoli del suo tempo, condividendone sia le sofferenze e la miseria che i momenti di gioia, con spirito festosamente partenopeo.

La verità che brilla in questa pagina del vangelo consiste nel riconoscere che la salvezza è un dono e, pertanto, i giusti non sono coloro che si credono tali, ma quelli che si sentono bisognosi di questo dono e lo accettano con entusiasmo. Per poter far festa con il Signore, occorre allora individuare le zone d’ombra della nostra vita: sono queste che ci permettono di sederci a tavola con lui, insieme a Matteo e ai suoi amici di dubbia reputazione, affinché la luce della salvezza possa dissiparle.

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