ITFL286

XXIV settimana del Tempo Ordinario – Sabato

Gesù Cristo illumina il mistero

Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme.Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada… e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi… la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto»… I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché vedendo non vedano e ascoltando non comprendano. Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore… Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici… Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che… si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola… la custodiscono e producono frutto». Lc 8,4-15

A chi sa ascoltare è confidato il mistero del regno di Dio, agli altri viene comunicato in parabole «perché vedendo non vedano e ascoltando non comprendano». Per costoro le parabole risultano alquanto impenetrabili. Soltanto chi fa la volontà di Dio e si pone alla sequela del Signore, riceve la luce per addentrarsi nel mistero della vita. Anch’essa infatti è una lunga parabola che ci rivela il Signore stesso. È come la nube che accompagnava Israele nella sua uscita dall’Egitto: «La nube era tenebrosa per gli uni [gli Egiziani], mentre per gli altri [gli Ebrei] illuminava la notte» (Es 14,20). Per chi si pone alla sequela del Signore, egli è la luce che illumina il mistero ed egli stesso è il mistero da conoscere. Mi ricorda di quando da ragazzo, nelle notti di luna crescente, andavo «a frega» con lo zio Beppe, tra gli scogli del mare di Castiglioncello. Andare a frega voleva dire andare a pescare, tenendo in una mano la fiocina e nell’altra una lampada ad acetilene, per illuminare l’acqua davanti a noi. Di fronte a quella luce i pesci rimanevano abbagliati, si fermavano e noi li potevamo prendere facilmente. Lo stesso avviene con il mistero sempre fuggevole della vita:

illuminato dalla luce di Gesù Cristo, esso si ferma e si lascia cogliere. Per chi non ha la lampada, però, il mondo è buio e incomprensibile, e il mistero sfugge. Alla sequela del Signore, però, «la città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello [Gesù Cristo]» (Ap 21,23). È ciò che mi succedeva da ragazzo, andando «a frega» con lo zio Beppe nelle notti d’estate.

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